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Creta, anima mediterranea



Siamo arrivati ieri a Creta l‘isola di Minosse per iniziare il viaggio verso le nostre prossime interviste firmate Story Hunters tv, ecco le prime impressioni dalla costa ovest.


L’agire e il sentire dei popoli mediterranei, quelli sulle cui scogliere si infrangono le onde di questo mare cosmopolita, non sono egemonizzati dall’ossessione per l’estetica, né dalla moraleggiante devozione all’opera compiuta. Il bacino salmastro verso il quale da sempre i cretesi hanno rivolto lo sguardo gli ha resi abili a comprendere che ogni tipo di futuro può apparire all’orizzonte senza fornire di sé alcun preavviso. Il mattino, come la sera, la notte come il giorno sono carichi di una sipida precarietà e il concetto di bellezza è connaturato a tutto ciò che è relativo al mare e alla sua fisica e metafisica instabilità. A Creta, dunque, è una questione di coerenza: l’opera dell’uomo non può aggiungere nulla alla legge che viene dai flussi marini e ad essi ritorna a cavalcioni delle nuvole che fluttuano verso il semicerchio dell’orizzonte. Chiedo a voi che verrete a passare le vostre vacanze su questa isola colma di mare e di montagne, a noi che siamo venuti qui a intervistare italiani espatriati, cosa possono mai rappresentare quattro mattoni legati da una striscia di cemento? Perché liberare un tetto a terrazza dalle barre di ferro? Domani un altro piano potrebbe dover accrescere la struttura per un arrivo inatteso o tutto crollare per una irrimandabile partenza. La capra, la spiaggia, l’orto, i giardini grondanti fiori, la polvere sui carrubi, i bambini che scivolano sui cumuli di terra delle case in costruzione, le donne che cuciono sedute sulle porte di casa, i caffè sul tavolino del kafenío lungo il corso di Kissamos, gli sguardi insondabili degli avventori locali, fanno di Creta la mèta turistica per chi sa guardare un’ordine superiore. Quale può essere un ordine maggiore di quello che la natura ha stabilito tra mare e terra: due entità che si affiancano, si accarezzano, s’ingorgano, si grattano nelle risacche. Sette metri emersi a ovest negli ultimi 14 secoli, leggibili su fossili vegetali delle alghe; 7 sprofondati a nord est che basta misurare la distanza dalla superficie delle acque ai megaliti di quel che resta dei porti romani sommersi per capire che quello che oggi sta sopra, domani può sprofondare e viceversa. Nulla è stabile qui, tutto è mutevole e precario, bellissimo, accecante come il riflesso vivido è inafferrabile sui marosi meditabondi. Perché impietrirsi davanti alla bellezza. Non venite a cercarvi, o voi turisti e viaggiatori verso l’isola di Creta, l’estetica, non quella che pensate di conoscere! Tutto qui è al pari di quella gamba che non vi risponde più come un tempo, al ponte odontoiatrico che un po’ traballa e poteva venire meglio. Qui tutto è come il cuore che avete sotto la maglietta scolorita, batte per sopravvivere e non per fornire il suono a una bella serata. Qui tutto è spoglio e al meglio di sé, non troverete, o vacanzieri, la veste alla moda che certa cultura iper antropica ha voluto calzare addosso all’ambiente perché non fosse, illusoriamente, più in grado di svelare, di lasciar trapelare la sua e la nostra fragilità. Qui la terra è fragile rispetto al mare che la nutre e la conquista, e l’uomo nutre di sé questa debolezza, pertanto non osa sopraffare nulla di ciò che di incerto la natura propone e propina. Il mal di vivere è il bene migliore e più intimo di cui possa nutrirsi chi non ha il mito consumista della felicità, venire a Creta è venire a cercare la cultura dalla quale veniamo, direttamente alle sue origini: la sua bellezza si esplica nel tocco lento, svogliato e imbelle verso l’ambiente che qui, nel pieno dell’anima mediterranea, ha la forza e la drammaturgia di una carezza tenera, stanca e sapiente data da un vecchio cantastorie pre-ellenico alla testa di un bambino post-moderno.





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