Le Cicladi devono il loro nome all’isola di Delos, oggi una piccola isola disabitata nelle prossimità di Mykonos. Nell’antichità, centro di culto e di commercio, si riteneva fosse il luogo dove Latona, per sfuggire alle ire di Era, moglie di Zeus, partorì i figli concepiti con il signore dell’Olimpo. Lì, nacquero, dunque, Apollo, dio della luce e della musica, e Artemide dea della luna e della natura selvaggia. Oggi è un sito archeologico patrimonio dell’Unesco. Il nome dell’arcipelago deriverebbe da kyklà-delos ( kyklo =intorno), isole intorno a Delos.
Quasi al centro di questo arcipelago, che fino a vent’anni fa era percosso dai contadini a dorso di mulo e rimaneggiava in fretta casupole bianche di calce, costruite per accasare i figli, in villette da affittare ai turisti, l’isola di Paros sembra meglio conservata di altre. Per esempio, l’impossibilità, quasi sempre attesa, di costruire case con più di due piani, contro un permissivismo che ha deturpato il villaggio Naxos. Comunque, siamo tutti in ritardo, e le Cicladi incontaminate non esistono più. D’altra parte sono sempre meno i romantici che le cercano. Non sono solo fuori moda, quelli che rimangono sembrano fuori dal mondo. Ricordo, l’anno scorso, a Matala, in Creta, nella spiaggia delle grotte degli hippie, a vederli sembravano degli intramontabili e dolcissimi Peter Pan. Ormai inclini all’amore totale per l’ecologia e non più dediti a quello ‘libero’.
Ma se si lascia il mare e ci si arrampica su per le coste collinose, superate le sparute ville dal sapore greco e dallo splendore californiano, ci si imbatte spesso in ruderi o nuclei abitativi originari dove il desiderio di allocarsi fuori dal tempo e tornare a una vita fatta di essenzialità potrebbe percorrere con un fremito di convinzione vene e arterie.
I buoni propositi, a mia ipotesi, vengono meno quando si parla, in inglese maccheronico, col capomastro che ristruttura casa e si viene a sapere che d’estate la si potrebbe affittare per 500/700€ a notte. Allora, vita semplice al paese proprio e qui business.
D’altra parte, credo, che queste isole d’estate siano invivibili, almeno in luglio e agosto.
Ma la loro bellezza e peculiarità è talmente indiscutibile che è indubbio suscitino sogni di misantropia.
Ci aspettiamo che nel sonno delle stagioni cadenti, si possa assaporare la solitudine del trovarsi sull’isola. Riusciremo noi ad apprezzare i nodi di vento e le saracinesche abbassate dei caffè e delle taverne?
Mare e cielo sembrano snobbare ogni avvicendamento umano e mantenere il loro serafico connubio col vento. Oggi tirava a 20/26 nodi. Com’è un vento a 26 nodi, fuori dalla finzione lessico strumentale tendente a connotare la dislocazione marina dalla quale scrivo? È quello che se non state attenti vi strappa il cappello dalla testa. Al mare fa un certo solletico. Allora, quel caratteristico blu del mare greco, si carica di piccole idee spumeggianti; i tagli bianchi sulla tela blu cobalto sono l’opera del Meltemi, il vento del nord, la nostra tramontana.
Due notti fa ci ha sfiorato il ciclone Lanos che vorticava alle latitudini di Cefalonia e che qui, per via del suo ampio vortice attirava, risucchiava, venti da sud, portando nuvole e scrosci d’acqua. Il Meltemi porta con sé refrigerio e cieli tersi, d’estate; cosa porti d’inverno ve lo saprò dire tra qualche mese, quando Orione prenderà il posto dello Scorpione nel cammino ellittico delle prime ore della notte.
Meltemi e Via Lattea vanno a braccetto, specie quando la luna calante sorge sempre più a ridosso dell’alba. Il fascino di vivere a lungo in un’isola, intuisco, si relaziona al vento, che si fa agente attivo in cielo e in terra, alla visibilità e quindi al senso atavico del tempo legato alla visione siderale amplia e limpida, al progresso delle costellazioni nel cielo, al loro sorgere, al loro tramontare; tempo e bussola per centinaia di generazioni marinare, e al mare che del cielo e del vento riflette gli umori. Si ha, è vero, si ha, senza romanticismi, una percezione più insignificante del fattore umano nell’osmosi degli elementi universali che si degnano di accoglierci.
E il greco, cari italiani, il greco non lo si capisce né da parlato, né, tantomeno, da scritto.
Be’, questo, per poco che voglia dire, significa vivere, ‘nu' poc’, fuori dal mondo. E non è ‘poco‘. Insomma, se venite a passare l’inverno in un isola in mezzo all’Egeo, non è esattamente vostra intenzione rimanere sintonizzati e aggiornati su ciò che capita là, da dove venite, e cosa ne pensano quelli che, là, avete lasciati.
Però dei greci, a fine stagione, si comincia a percepire il carattere paziente e remissivo. Passata l’invasione, che Dio NON ce ne liberi e che continuino a portare danaro dal continente, il greco si rifà vivo, come lingua e come espressività. Avete in mente in autunno quando, to’, si risente il chiccolio del pettirosso, so bene che la maggior parte di voi non ha minimamente presente quel che sto dicendo, ma insomma, una certa mattina camminate per la campagna e risentite, di sorpresa, lo schiocco cristallino del canto del passeriforme a petto rosso. Ecco, l’estate se ne va, con lui se ne vanno i turisti, anzi sono ancora in giro ma si stanno diradando, ed ecco che i padroni di casa fanno risentire i loro richiami che, fino a quel momento avevano tenuti celati per non disturbare gli stranieri, o distrarre le loro carte di credito. Si chiamano ad alta voce da una parte all’altra della strada, si canzonano, si danno le pacche sulle spalle, mentre fumano.
Danno timidi segnali di riappropriazione del loro territorio. Sono più che parte gli uomini, ma se si seguono strade laterali e desuete s’incontra qualche signora col cane e donne che si allenano col cappuccio tirato su sulla testa come fosse arrivato l’autunno. Le ragazze, locali, quelle di Atene o di Salonicco, le si trova ancora nei kioski o a servire ai tavoli con le mascherine di plastica che avrebbero fatto colpo sulla immaginazione fervida di Kubrick.
Comunque, via che i giorni passano e vengono superate le classiche misure vacanziere, una settimana, due settimane, tre settimane ..., i passi accidentali che si compiono nelle camminate senza meta, conducono in angoli “ normali”, dove la vita non sembra messa lì apposta per essere l’equivalente di una spesa sostenuta per villeggiatura. La gente del posto, nascostamente, non ha mai smesso di vivere. Aspetto di andare alla fermata dell’autobus per Paroikia, sotto una pioggerellina autunnale, e vedere le ragazzotte e i ragazzotti di Alykì salire sul pullman con gli zaini invicta o NorthFace sulle spalle.
Intanto, oggi, sono andato a controllare l’unica bakery che rimarrà aperta d’inverno per i 900 abitanti del villaggio che d’estate raggiunge i diecimila (la cifra è una mia supposizione). È fuori mano, davanti al supermercato che rimarrà aperto anche lui, si può prenderne un espresso Illy, ma non ha tavoli per sedersi, almeno per ora. C’è una ferramenta, ne avessimo bisogno.
Che venga l’autunno, che le trombe ventose introducano l’inverno, siamo qui ad aspettare di capire cosa ci viene incontro; da dentro, e da fuori. Non credo che il paesaggio diventi più brullo e le tamerici dovrebbero restare sempreverdi come loro costume. Piuttosto, faremo in tempo, entro fine marzo, a vedere rinverdire i prati?
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